Da autocritica – Il Manifesto ottobre 2010
di Andrea Bertaglio
La Bolivia, la più “indigena” delle nazioni sudamericane, rappresenta uno dei pochi contesti umani e naturali rimasti ancora integri. Paese che meglio conserva la cultura tradizionale, della quale si osservano ancora valori e credenze, la Bolivia ospita infattile regione andine nelle quali fiorirono diverse culture, fra cui quella Tiwanaku, tra il II sec. a.C. ed il XIII sec. Per questo è considerato uno dei luoghi più affascinanti, oltre che meno conosciuti, dell’America latina; il più incontaminato, quindi, ma anche il più povero, se per “povero” si intende scarsamente industrializzato.
La situazione potrebbe presto cambiare, però, a causa dello sviluppo dell’auto elettrica. I produttori mondiali di quattro ruote hanno messo da tempo gli occhi sul Paese nel quale, secondo alcuni calcoli, risiede da un terzo alla metà delle riserve mondiali di litio. Un minerale noto non solo per essere il più leggero degli elementi solidi, ma anche per essere usato (oltre che come componente in farmaci antipsicotici) nella produzione di batterie per telefoni cellulari, computer portatili e ora per auto elettriche. Si prospettano affari milionari in Bolivia, come in tutte quelle nazioni che si trovano ad avere importanti riserve di questo prezioso minerale, ma ovviamente ogni cosa ha il suo prezzo. Lo sviluppo di tale industria estrattiva avrebbe avrebbe infatti un impatto di non poco conto su ecosistemi bellissimi come quello del Salar de Uyuni, la più grande distesa salata del mondo, situata a 3650 metri di quota, nella quale si concentrano le principali riserve di litio.
Il caso boliviano pone una questione: meglio produrre auto che vadano a batterie (di litio) invece che a benzina e gasolio, o meglio cercare di preservare dal punto di vista naturalistico zone di incontaminata bellezza? Meglio produrre auto che possano portare (si spera) ad una mobilità più sostenibile , o evitare di devastare una delle poche aree del pianeta rimaste intatte?
Nell’ottica di una consistente crescita economica, il presidente socialista Morales ed il suo governo, detenendo il 60% di tutte le aziende nazionali, si trovano tra le mani la possibilità di definire le sorti future del proprio paese e, forse, di molte aziende automobilistiche. L’affare del litio, che già viene chiamato “l’oro bianco dle XXI secolo”, interessa tutti, dai giapponesi di Mitsubishi e Toyota agli americani della GM, ai francesi di Bolloré, per citare i primi che si sono fatti avanti in Bolivia.
Il litio rappresenta per molti la speranza di una svolta economica del paese sudamericano, dato che dà la possibilità. a differenza delle riserve di gas e di idrocarburi del Paese, di fare un piano economico di decenni. Piano che porta il presidente Morales addirittura a prefigurare una futura industria automobilistica totalmente nazionale, caratterizzata da una cospicua presenza di auto elettriche “Echo in Bolivia” (fabbricate in Bolivia). Con buona pace delle organizzazioni ambientaliste boliviane, le quali già lamentano l’eccessivo uso di sostanze chimiche che l’estrazione e la trasformazione del litio comporterebbero.
Con un petrolio sempre più scarso e costoso, e con un’opinione pubblica mondiale sempre più preoccupata da un ambiente ormai provato dalle emissioni di gas serra, i colossi del mercato automobilistico vedono nel litio sia la possibilità di rilanciare la loro immagine in un settore in costante declino che quella di una possibile riconversione che, di verde, ha più le caratteristiche dei dollari. Se si parla di ambiente e di sfruttamento delle risorse di un Paese come la Bolivia, siamo sicuri che lo sviluppo dell’industria del litio non possa comportare dei sottovalutati svantaggi? Non solo dal punto di vista ecologico, ma anche di carattere sociale e, paradossalmente, economico.
L’estrazione di questo minerale richiede un enorme uso di acqua che, a lungo andare, potrebbe provocare una drammatica crisi idrica. Il rischio di un conflitto sociale risulterebbe quindi incombente, se si pensa non tanto alle popolazioni indigene circondate di camion e ruspe da un giorno all’altro, quanto agli asprissimi conflitti già visti in questo paese circa dieci anni fa (in particolare a Cochabamba), dovuti proprio all’acqua: quella che, ben più del petrolio e del litio, è considerata da ogni popolazione esistente su questa Terra la risorsa più importante.
Alcune comunità locali vedono la prospettiva di un’indusrializzazione al litio come una speranza di lavoro e, conseguentemente, di benessere. Ma i produttori di quinoa, l’alimento base per tutte le popolazioni andine, così come gran parte degli operatori turistici, temono che i danni per l’economia locale, tirando le somme, potrebbero essere ben superiori alle ricadute positive.
La possibilità di un reale sviluppo dell’industria estrattiva e l’entità della domanda futura di litio sono tuttavia ancora incerte; per contro, è forte il rischio che, per privilegiare un’industria, si comprometta l’esistenza di un’altra. L’estrazione del litio avrebbe infatti un impatto enorme sull’ambiente, sugli spettacolari scenari naturali e, di conseguenza, sul turismo.